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Sei domande a Tom Shippey

di Fiorenzo delle Rupi

L’autore di «J.R.R. TOLKIEN Autore del Secolo» ha insegnato Filologia Inglese medievale a Oxford con lo stesso programma di studi (syllabus) con cui la aveva insegnata Tolkien. In seguito, è stato professore alla Università di Leeds, dove anche Tolkien lo era stato all’inizio della carriera. Ha conosciuto personalmente Tolkien, col quale ha avuto una corrispondenza epistolare. Per i suoi studi tolkieniani e per questo libro che ora esce in Italia sull'onda del consenso già registrato in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. ha ricevuto l’assistenza di Christopher Tolkien, curatore delle opere postume del padre.

D: Professor Shippey, a quale tipo o tipi di pubblico è indirizzato questo suo libro Tolkien Autore del Secolo?
R: Capita spesso che la gente mi scriva per dirmi : “Mi interessa Tolkien, vorrei studiare Tolkien, vorrei scrivere la mia tesi di laurea su Tolkien, ma il mio insegnante, o il mio professore, dice che Tolkien non è un argomento adatto, non è qualcosa che si studia nelle scuole, o nell’università. Ho scritto il libro Autore del Secolo per dimostrare a gente come questa che esistono ambienti in cui Tolkien è stato preso seriamente. Non penso di riuscire a convincere i professori più tradizionalisti, ma esistono molti studenti a cui piacerebbe studiare Tolkien, e penso ci sia bisogno di qualcuno che affermi con serietà e con dati di fatto che Tolkien è un autore degno di tanto rispetto quanto gli autori della cosiddetta letteratura mainstream [“di corrente principale”, cioè riconosciuta dal canone critico tradizionale, N.d.R.]. Quindi possiamo dire che ho scritto questo libro per coloro che considero degli studenti “svantaggiati”.

D: Il Suo messaggio principale in questo libro è che Tolkien è stato un tipico autore del Ventesimo secolo. Perché, secondo Lei, Tolkien è stato un tipico autore di questo Secolo?
R
: Beh, in primo luogo, perché Tolkien non è un “tipico” autore del XX secolo! I lettori lo notano subito, parla di un mondo che è quasi completamente separato dal nostro. Tuttavia, ciò che mi ha colpito quando abbiamo cominciato a esaminare le statistiche e i sondaggi d’opinione riguardo agli autori, è il fatto che molto spesso gli autori nelle prime 5 o 10 posizioni sono, in molti modi, assai simili a Tolkien. Si tratta di autori come George Orwell, William Golding, Kurt Vonnegut, T. H. White, e, naturalmente, l’amico di Tolkien C.S. Lewis. Sono tutti autori di opere letterarie di genere fantastico e sono, anche, ex soldati veterani di grandi Guerre. E così ho notato che, sebbene Tolkien possa sembrare un autore atipico in ciò che scrive, i suoi temi sono comunque quelli gravi e terribili del XX secolo: l’industria usata a scopi bellici, il ritorno a quelle che potremmo quasi chiamare “condizioni medievali”, che noi Europei pensavamo di esserci lasciati alle spalle nel XVIII e nel XIX secolo.
E così, ciò che è strano è che tutti questi autori parlino di argomenti molto seri e reali, dei quali hanno ovviamente avuto esperienze dirette. Tuttavia sentono di poter parlare di ciò che voglio soltanto attraverso il mezzo della letteratura di tipo fantastico. Quindi, da questo punto di vista, trattando argomenti seri, seppur in modo fantastico, Tolkien è un tipico autore del XX secolo. È solo che molti dei miei colleghi, i critici professionisti, non se ne rendono conto. Non prestano molta attenzione a ciò che la gente preferisce leggere e, come dirò poi, affermano – ad esempio, come una giornalista del “New York Times” - che “Tolkien non è letteratura”. Ma, in fin dei conti, chi sono loro per decidere cosa è la letteratura? La letteratura, in ultima analisi, è ciò che la gente legge, e di sicuro Tolkien ha avuto molto successo in questo campo.

D: Lei presenta Il Signore degli Anelli come un romanzo moderno, inserito nelle problematiche del XX secolo. Secondo Lei, perché tanti critici lo presentano come un autore nostalgico del medioevo, un autore anacronistico, conservatore?
R: Beh, naturalmente dicono questo perché Tolkien è anche queste cose. Ma, ancora una volta, una delle cose più sorprendenti che emergono in anche in alcuni altri autori oltre Tolkien, e che i critici non hanno mai notato finora, è che, in qualche strano modo, per tali autori la letteratura medievale era più rilevante e più seria rispetto alle opere del XVIII e del XIX secolo. Pensavano, sotto molti punti di vista, di essere tornati a un mondo medievale. Per esempio Robert Graves, l’autore di Il Divo Claudio e di Io, Claudio, proprio come Tolkien fu un fuciliere nella Prima Guerra Mondiale, e sempre come Tolkien, si considerava un poeta, ma quando scrisse la sua autobiografia, Addio a Tutto Questo, raccontò di essersi recato a Oxford, proprio nello stesso periodo di Tolkien (e credo che abbiano frequentato assieme l’università), ma si sentì dire che la letteratura medievale era qualcosa che non aveva niente a che fare con la vita reale. Graves rispose che in realtà aveva tutto a che fare con la vita reale: era reduce da un conflitto che si poteva definire medievale, combattuto con coltelli, mazze e randelli, nel buio. Disse che leggere brani di letteratura anglosassone altomedievale gli sembrava molto più normale e reale che non leggere le opere del XVIII secolo e dell’Illuminismo. Quindi, Tolkien è sì un autore medievale e anacronistico, ma purtroppo l’intero XX secolo è rapidamente diventato anacronistico allo stesso modo.

D: Quali sono gli altri messaggi principali che Lei ha voluto comunicare con questo Suo libro?
R: Dunque, ne sceglierò solo uno, che spesso viene ignorato. E cioè che Tolkien si considerava soprattutto un poeta. Ed era davvero un poeta! Non ho mai provato a contare il numero di poesie di Tolkien di cui disponiamo, ma devono essere più di cento. A volte sono difficili da valutare in sé stesse, perché molte di esse – non tutte, ma buona parte - sono presentate all’interno di una storia. Ma credo che Tolkien ritenesse, e a buon motivo, di non stare inventando tutto di sana pianta, ma di rivitalizzare la poesia tradizionale inglese, che in passato era stata molto forte, ma era poi stata spinta da parte dai tempi moderni. Ma era sopravvissuta, come spesso accade a questo genere di cose, come le fiabe, in una sorta di mondo a parte, quello della sotto-letteratura, e dei racconti popolari. Al momento mi trovo negli Stati Uniti d’America, dove una forma di musica molto popolare sono le canzoni country e western… ma molto spesso, nelle canzoni country e western, mi capita di sentire strofe che combaciano perfettamente con la metrica medievale.
Mi capita di chiedere agli autori di tali canzoni “Sapete qualcosa riguardo al Medio Evo?” “No, mai sentito nulla riguardo ai versi medievali”. Eppure le cantano, tutti quanti, seguendo le stesse tradizioni dei loro nonni, e dei nonni dei loro nonni, risalendo a centinaia e centinaia di anni fa. Anche questo è un fenomeno che non è stato notato dai critici professionali.

D: Quali sono i personaggi tolkieniani e le scene, o i momenti, che Lei preferisce?
R: Ebbene, devo raccontarvi che per molti anni sono stato a capo di un Consiglio d’Istituto di un’università, e dopo aver assistito a tutti quegli incontri in cui i miei colleghi discutevano tutto il tempo e non decidevano mai niente, il personaggio per il quale provo più simpatia è Ugluk l’Orco, quello che cattura Merry e Pipino. Anche lui doveva trattare con una banda di creature orchesche e selvagge che non facevano quello che gli veniva detto di fare. E lui risolve il problema allo stesso modo che mi piacerebbe applicare: si fa avanti, fa volare una o due teste e dice “Adesso si fa come dico io.” Devo confessare… che in molte occasioni mi sono sentito come Ugluk!
A parte questo, penso che un’altra grande scena sia, naturalmente, l’arrivo di Rohan, la scena alla fine dell’assedio di Minas Tirith, quando Gandalf si erge alle porte di Gondor, sente il gallo cantare, vede il Nazgul che esita e poi sente echeggiare i corni di Rohan. “Rohan era finalmente arrivato.” Quella credo che fosse la scena preferita di Tolkien, ed è una di quelle che anche io amo di più.

D: Provi a sintetizzare brevemente le principali differenze tra Il Signore degli Anelli e l’altra grande opera di Tolkien, Il Silmarillion.
R: È un’impresa che porterebbe via un bel po’ di tempo! Ma forse la differenza principale sta nel fatto che Il Signore degli Anelli è scritto con lo stile, diciamo, di un romanzo moderno. Fa uso di un realismo molto ben sviluppato, comprende molti dialoghi, ti dice cosa stanno pensando e cosa provano i personaggi… è diretto, di ampio respiro, ti fornisce, come tutti noi lettori ben sappiamo, molto più di ciò di cui hai bisogno di sapere. Il Silmarillion, invece, è scritto più nello stile di una cronaca medievale, o ancora meglio, nello stile di una saga medievale islandese. E così tutto ci appare molto brusco, non ci dice molte delle cose che vorremmo sapere. I personaggi, quando parlano, parlano molto brevemente, si passa in fretta da un evento all’altro. C’è una sensazione di affollamento, e, potremmo quasi dire, di urgenza di passare da un evento al successivo. È anche, come ben sappiamo, molto difficile da ricordare, perché è necessario ricordare chi sono i personaggi e come sono correlati tra loro, e noi, con la nostra debole memoria moderna, non siamo sempre in grado di ricordare chi è cugino di chi, o che rapporto esiste di preciso, ad esempio, tra Tuor e Turin Turambar. A un certo punto si incrociano, ma non si parlano. Sotto certi aspetti è un momento di vitale importanza, ma se mi venisse chiesto ora “Che rapporto c’è tra Tuor e Turin Turambar?” direi “Penso che siano cugini, ma devo consultare la loro dinastia, il loro albero genealogico per rispondere. Ma so che è una domanda importante!” Quindi, direi che, in una sola parola, Il Silmarillion è un’opera molto più “compressa” rispetto a Il Signore degli Anelli, ed è questo che ce la rende molto più difficile da leggere.

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© Pubblicato per gentile concessione di Luciano Simonelli editore. Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata.



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