Frodo: un viaggio verso l'aldilà
di Stefano Giuliano

el celebre saggio On Fairy-Stories, interrogandosi sulla natura delle fiabe, Tolkien scriveva che “l’inventore di fiabe si rivela un felice ‘subcreatore’, il quale costruisce un Mondo Secondario in cui la mente del fruitore può entrare. All’interno di tale mondo ciò che egli riferisce è ‘vero’ nel senso che concorda con le leggi che vi vigono.”
Ora l’idea dello scrittore come subcreatore e dell’opera d’arte come mondo dotato di una propria realtà sembrano inscrivere Tolkien in una tradizione di retaggio neoplatonico maturata nel Rinascimento italiano e continuata nell’Inghilterra del secolo XVI, la quale giudica lo scrittore, il poeta come simile a Dio in quanto ‘creatore’, interpretando l’opera d’arte come una realtà più vera della realtà stessa perché più pura e più elevata.
Cristoforo Landino e Marsilio Ficino sono i precursori teorici del parallelismo speculativo tra creazione divina e creazione letteraria, parallelismo che avrà la sua massima espressione in Tasso il quale nei Discorsi dell’arte poetica e del poema eroico asseriva che il poeta era da dirsi “divino” perché, attraverso la creazione artistica, operava seguendo le stesse modalità di Dio mentre il poema andava equiparato ad un “picciol mondo” nel quale descrivere battaglie, assedi, duelli, eventi atmosferici, patimenti fisici, incendi e così via.
Il neoplatonismo italiano si diffuse in Europa grazie alla traduzione ficiniana del Corpus Hermeticum attribuito ad Ermete Trimegisto, in specie del primo trattato, il Pimander, dove si raccontava della creazione di Dio e del desiderio dell’uomo di creare a sua volta. Tali concezioni vennero introdotte nell’Inghilterra elisabettiana da John Dee, figura mediatrice tra le nuove tendenze del Rinascimento e la filosofia inglese dell’epoca medievale, nonché della breve ma feconda permanenza oltremanica di Giordano Bruno, le cui idee di un universo infinito e di innumerevoli mondi che si muovono di vita propria – come ha ampiamente dimostrato Frances Yates nei suoi studi – ebbero vasta diffusione.
In breve, in Tolkien, le affinità con la tradizione del neoplatonismo inglese emergono abbastanza chiaramente nelle pagine del saggio Sulle fiabe dove lo scrittore è inteso come un “subcreatore”, un demiurgo capace di attuare le meraviglie della propria immaginazione, plasmando l’opera d’arte alla stregua di un ‘eterocosmo’ (Heterocosm), rimarcando in tal modo l’analogia tra creazione artistica e creazione divina.
Il secondo punto riguarda la possibilità di interpretare il viaggio di Frodo – e dunque l’asse centrale del SdA – come un viaggio verso l’Aldilà.
Il viaggio verso l’Aldilà è una particolare forma di storia di viaggio nella quale il protagonista supera gli abituali confini del mondo conosciuto ed entra in una terra dove regna il soprannaturale e che, a seconda delle diverse tradizioni mitologiche e concezioni religiose, può essere oscura, desolata, popolata da creature infide e mostruose oppure luminosa, ristoratrice ed abitata da figure benevole e di bellissimo aspetto. Esempi del primo tipo possono trovarsi nelle descrizioni oltremondane egizie e mesopotamiche ma anche in quelle nordico-germaniche, nonché, naturalmente, nelle descrizioni degli inferi della letteratura ebraico-cristiana antica e medievale. Esempi del secondo si rintracciano nella mitologia celtica oppure nelle descrizioni del Paradiso cristiano.
Il topos del viaggio nell’aldilà si ritrova nelle storie mesopotamiche dell’eroe Gilgames¹ e della grande dea Inanna-Is¹tar; nelle rappresentazioni egizie del tragitto di Râ il dio-sole; nelle catabasi [dal greco Katábasis: “discesa agli inferi”] greco-romane di Ercole, Orfeo, Ulisse, ecc.; ma si ritrova pure nella letteratura apocalittico-giudaica dei secc. II a.C.-III d.C. (l’Apocalissi di Pietro, l’Apocalissi di Paolo); nei racconti degli eroi celtici Condla il bello, Bran, Mael Duin o degli dei nordico-germanici Odino ed Hermóþr; e, infine, nelle visioni medievali descritte da Gregorio Magno nei suoi Dialoghi o dal Venerabile Beda nella Storia ecclesiastica degli Angli.
Come tutti sappiamo l’itinerario di Frodo ha una meta: Monte Fato a Mordor.
La caratterizzazione oltremondana di Mordor è inequivocabile, emergendo sia dalla geografia che dall’onomastica. Mordor (in inglese antico “assassinio, morte violenta, supplizio”), nel Signore degli Anelli è chiamata anche Terra Nera (Black Land) o Terra Innominata (Nameless Land). È una regione sterile, impervia, ostile, nella quale si erge un vulcano attivo (Mount Doom), delimitata da possenti catene montuose: le Montagne d’Ombra (Mountains of Shadows) e i Monti Cenere (Ashen Mountains), nella quale s’innalzano fortezze inaccessibili (Barad-dûr, Minas Morgul) e vivono esseri mostruosi e deformi (Sauron, i Nazgûl, gli Orchi).
Qualora si confrontino le descrizioni dell’Aldilà nelle varie mitologie, da quelle classiche a quelle nordico-germaniche, è possibile riscontrare la stessa serie di elementi: paesaggi lugubri e desolati, atmosfera opprimente, assenza di luce, fortezze minacciose, mostri e demoni, e così via. Ad es. in area mesopotamica l’Aldilà, Ahar-la-tari “luogo senza ritorno” è un territorio triste, silenzioso, sporco; parimenti presso i nordico-germani Niflheimr “paese dell’oscurità” è un luogo che si raggiunge attraverso una grotta e dove sorge un edificio costruito con pelli di serpenti e dal cui tetto cadono gocce di veleno mentre coloro che vi sono destinati (spergiuri e assassini) sono straziati dal drago Ni<eth>hoggr.
Anche da questi elementi, necessariamente scarni, si ricava, dunque, che il viaggio di Frodo è un viaggio verso l’Altro Mondo.
Il cammino per l’Aldilà può essere discontinuo e tortuoso, suddividendosi in tappe successive ad ognuna delle quali corrisponde una prova da superare. Scopo di tali prove è vagliare le virtù del viaggiatore, dell’eroe e prepararlo alla prova finale, quella più difficile dove sarà in gioco non tanto e non solo la vita di questi ma anche e soprattutto il destino del mondo.
Nel Signore degli Anelli si possono individuare otto tappe principali:
1) l’attraversamento della Vecchia Foresta, da parte di Frodo e degli altri tre Hobbit;
2) la discesa nella tomba a Tumulilande, effettuata sempre dai quattro Hobbit;
3) la sosta nella dimora elfica d’Imladris;
4) il percorso sotterraneo a Moria, cui partecipano i nove componenti la Compagnia dell’Anello;
5) la fermata ristoratrice nel reame incantato di Lothlórien;
6) il tragitto lungo i Sentieri dei Morti, portato a termine da Aragorn, Legolas e Gimli;
7) il passaggio nella caverna di Cirith Ungol, compiuto da Frodo e Sam;
8) infine, l’ingresso a Mordor, ad opera dei due Hobbit.
Ciò che però risalta è che ciascuna di tali tappe si porrebbe già di per sé come esperienza oltremondana. Difatti, la foresta, il tumulo, la grotta, e così via. sono tutti luoghi assimilabili all’Altro Mondo.
Il passaggio nella Vecchia Foresta (Old Forest) ricorda gli attraversamenti di selve e boschi descritti nei romanzi cavallereschi, dove avvenivano incontri con creature sovrannaturali e si attuava l’iniziazione del cavaliere ma ricorda anche le prove iniziatiche cui erano sottoposti i neofiti nelle società così dette ‘tradizionali’ o tribali, in quanto il soggiorno nella foresta costituiva una metafora della morte e della resurrezione. L’entrata nel tumulo dei Tumulilande è una catabasi tipica delle saghe norrene così come il passaggio nel regno dei Nani di Moria. Le soste nelle terre elfiche appartengono alla tradizione celtica dell’andata nell’Altro Mondo: gli echtrai. Le discese nelle grotte e nelle caverne, come i Sentieri dei Morti e Cirith Ungol, si ritrovano universalmente nei miti e nei riti d’iniziazione e sono paragonate agli inferi.
Inoltre, il libro termina con un altro viaggio oltremondano: la navigazione di Frodo, Gandalf e gli Elfi alla volta di Valinor, con un chiaro riferimento alle credenze relative alla Thule della tradizione celtica e all’Avalon delle leggende bretoni.
Vale la pena fermarsi, almeno di sfuggita, su una di queste tappe in modo da vedere un po’ più da vicino il sistema di rielaborazione e riscrittura delle proprie fonti attuato da Tolkien: il reame di Celeborn e Galadriel.
Brevissimamente: Lothlórien è una terra circondata da fiumi, il cui segno distintivo sono gli alberi dorati, i mallorn, le cui foglie in autunno non cadono ma diventano d’oro, cadendo in primavera allorché spuntano le nuove foglie verdi e i fiori gialli. Ivi abitano gli immortali elfi, si odono canti soavi, si guarisce da malattie e da dispiaceri, il tempo sembra immobile (Frodo e gli altri vi si fermano per un mese ma credono sia trascorsa solo una settimana).
Lothlórien denota le caratteristiche proprie delle regioni elfiche della tradizione irlandese: bellezza, capacità risanatrici, diverso scorrere del tempo, presenza di esseri soprannaturali, dolci musiche, e così via. L’attraversamento di corsi d’acqua (i componenti della Compagnia devono superare i fiumi Nimrodel e Celebrant, per giungervi) era una delle modalità d’ingresso nelle terre degli Elfi. Per i Celti infatti l’Altro Mondo (chiamato Tir na nOg, “Terra dei Viventi” o “Terra dei Giovani” o, più semplicemente Sid, “pace”) era ubicato al di là di mari o fiumi. Si trattava di una contrada parallela, serena e luminosa, posta fuori dello spazio e del tempo, dove non vi erano né malattie né vecchiaia.
Tra le fonti di Tolkien vi fu, probabilmente, il racconto irlandese La navigazione di Bran (testo del VII-VIII sec.), i cui protagonisti approdano all’isola denominata Emain Ablach, un luogo bellissimo, privo di difetti, dove sorge un bosco i cui alberi hanno foglie d’oro.
La compresenza di tante immagini oltremondane non può ritenersi una trovata narrativa né, tantomeno, si può ritenere che il loro accostamento sia del tutto casuale (Tolkien sosteneva che il Mondo Secondario dovesse essere dotato di leggi e norme ben precise in modo da essere credibile in sé e per sé, per cui nulla poteva essere lasciato al caso: dal nome di un personaggio alla descrizione di una località, alle vicende storiche che avevano preceduto gli avvenimenti narrati, alle esperienza descritte). In realtà, la ripetizione appartiene all’ottica dell’itinerario iniziatico. Essa ha uno scopo: permettere a colui che viaggia di capire quanto non aveva compreso nell’occasione precedente. In altre parole, il rinnovarsi di momenti e situazioni, il rivivere circostanze analoghe, fa sì che il protagonista afferri ciò che prima non aveva inteso oppure che gli era sfuggito e, quindi, di crescere, maturare.
Nel Lord of the Rings, le ripetute catabasi, l’attraversamento di luoghi oltretombali, il contatto con esseri soprannaturali, ecc., presentandosi secondo una gradazione d’intensità e di valore (dalla più semplice e breve, la Vecchia Foresta, alla più lunga e drammatica, Mordor), consente ai diversi personaggi del libro di acquisire una progressiva maturazione, sottolineando l’aspetto iniziatico della vicenda.
Ma, se questa interpretazione è valida, perché Tolkien adopera il topos del viaggio nell’Aldilà, riproponendolo nei modi sopra accennati?
Una possibile risposta: Mordor non è solo il Paese dei Morti della mitologia e del folklore, è qualcosa di più… Si pensi alle sue caratteristiche: cielo perennemente oscurato da nubi nere, aria pestilenziale, acque contaminate, terra sterile e ridotta allo stremo, flora e fauna pressoché inesistenti, cumuli di rifiuti e scorie dovunque, moltitudini di schiavi che lavorano per il suo sostentamento, ecc. Uno scenario che ricorda luoghi contemporanei, uno scenario, cioè, dove sono ampiamente visibili le devastazioni e gli sconvolgimenti provocati dall’inquinamento e dalla desertificazione, ossia gli effetti dell’industrializzazione sul paesaggio1. Un’autentica waste land insomma.
A sua volta, la figurazione di Sauron come un occhio che osserva e controlla instancabilmente dall’alto della sua torre si pone come una metafora del Potere di grande impatto e che riecheggia il celebre Panopticon di Jeremy Bentham2. Il Dark Lord, infatti, è al vertice di una struttura piramidale, fortemente gerarchizzata, tenuta insieme però solo dalla violenza e dalla forza di volontà, tanto è vero che alla caduta di questi si sfalderà immediatamente.
Nei romanzi di Tolkien, il mondo moderno nei suoi aspetti peggiori sembra sostituire l’Aldilà.
Il cammino di Frodo non ha solo una meta ma anche uno scopo: distruggere l’Anello. L’One Ring ad un’iniziale lettura sembra un oggetto magico, ponendosi in relazione con tutta una serie di anelli della mitologia germanica e dei romanzi cavallereschi. Ma anch’esso è molto di più.
Il suo concedere a colui che lo porta al dito un potere totale che investe – per conoscere, alterare e sottomettere –, il tempo, le cose, la natura e gli esseri viventi, potrebbe leggersi come una sottile e acuta rappresentazione della tecnica e del potere ad essa connesso. La tecnica sembra offrirsi esattamente come strumento tramite il quale superare se stessi e sostituirsi alla divinità
Per Tolkien, allora, la tecnica non è né può essere un alcunché di neutrale, per cui guasti e svantaggi da essa provocati deriverebbero solo da un suo uso errato. Essa, al contrario, è uno strumento interamente negativo e apportatore di danno. Nella sua prospettiva, le grandi possibilità di utilizzo e realizzazione di progetti che, oggi come forse mai in passato, si riconoscono alla tecnica – possibilità traslate, come si è detto, nei poteri magici dell’Anello –, invece di aiutare, come proclamano, l’uomo a liberarsi, lo indurrebbero ad un sempre maggiore assoggettamento e pervertimento, modificandolo in maniera sostanziale.
In Tolkien, tuttavia, il potere non è inteso solo ed esclusivamente in senso negativo. A Mordor si contrappongono i reami elfici e a Sauron si contrappone Aragorn, il cui percorso è un itinerario di restaurazione regale. Per Tolkien ad un potere assolutamente malvagio e tirannico si contrappone un potere benefico e positivo dove le relazioni sono di reciproca e spontanea lealtà, formando l’immagine della comunità organica nella quale ognuno è indispensabile. A Imladris come a Lothlórien, a Rohan come a Minas Tirith, l’autorità che proviene dall’alto non è imposta ma riconosciuta. Il sovrano incarna le virtù condivise dal popolo. La sua superiorità deriva da sé, senza bisogno di meccanismi di coercizione e controllo.
In estrema sintesi, alla modernità si oppone il valore delle tradizioni, degli antichi costumi, delle norme del passato rappresentate tramite il ristabilimento della regalità – ristabilimento che, nondimeno, è anche e soprattutto un rinnovamento – attuato da Aragorn e Gandalf.
Il viaggio di Frodo, allora, acquista particolare valenza e significato assurgendo ad efficace metafora della tormentata condizione dell’uomo contemporaneo alle prese con le ansie e le inquietudini della modernità.


Note

1.- Lo stesso scenario è ravvisabile a Isengard, la dimora di Saruman trasformata e deturpata da macchinari ed escavazioni.
2.- Il Panopticon era una edificio circolare al cui centro era una torre da cui un solo guardiano poteva controllare tutto e tutti. Lo ‘schema panoptico’ poteva essere applicato non solo al carcere ma anche all’ospedale, alla fabbrica, alla scuola, e così via, in modo da determinare nel detenuto, nel malato, nell’operaio, nello studente la consapevolezza di essere tenuto sempre a vista, assicurando il funzionamento automatico del potere. Al riguardo si leggano le illuminanti pagine di M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino 1993.

 

Bibliografia

Stefano Giuliano è autore di "Le radici non gelano. Il conflitto fra tradizione e modernità in Tolkien", Salerno, Ripostes

 

           
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