Le Due Torri: tra libro e film
di Nicola Boccalini

Storia di un tutto (piccola premessa necessaria)

18 Gennaio 2002, un anno fa. Precisamente un venerdì. In molte sale cinematografiche italiane si proietta La Compagnia dell'Anello , primo capitolo della trilogia de Il Signore degli Anelli : il progetto, ambizioso ed imponente, è portato sullo schermo dal regista neozelandese Peter Jackson.
La gigantesca impresa vede la luce dopo quattro anni di lavoro tra preparazione, produzione e riprese. C'è molta aspettativa e curiosità intorno al film, perché esso è ispirato al romanzo più letto del XX secolo: appunto Il Signore degli Anelli di John Ronald Reuel Tolkien.

Jackson era a conoscenza delle enormi difficoltà che si sarebbero frapposte nel trasporre in pellicola l'enorme epopea cosmogonica descritta dal filologo inglese. Era al corrente della passione che permeava gli accoliti del fluviale romanzo tolkeniano, e percepiva il pericolo di una furia distruttrice che avrebbe potuto investire la sua opera, qualora essa si fosse discostata dal manoscritto del Professore. Ciò nonostante è andato sempre avanti per la sua strada, in una guisa che forse non sarebbe spiaciuta neppure a Tolkien.

16 gennaio 2003, un giovedì. La scaramanzia dei distributori italiani suggerisce di evitare il fatidico venerdì 17; così il secondo film della trilogia, Le Due Torri, esce nei cinema con un giorno d'anticipo rispetto al normale cambio di programmazione. Con le stesse aspettative, anzi forse maggiorate da una curiosità vegliante da un anno, ma con alcune preoccupazioni in più.
Partendo da qui cercherò di raccontare, nel seguente articolo, quali sono stati i passaggi simbolico/mitici, strutturali e tecnici che hanno tradotto il racconto de Le Due Torri dalla pagina stampata al testo filmico.

Nel bel mezzo di Terra di Mezzo

Quirino Principe, curatore della prima edizione italiana de Il Signore degli Anelli , nell'introdurre Le Due Torri , pone una questione di tipo sostanziale: perché il récit tolkeniano è immenso? La risposta che egli fornisce è la seguente: è immenso poiché è universo. Un universo che non appartiene alla nostra realtà (intesa in senso storico - cronologico), ma che è esso stesso realtà. Per dirla sempre con Principe: << La Terra di Mezzo non è meno reale del planisfero terrestre, proprio perché essa è una totalità >>.

Queste indicazioni sono necessarie per potersi affidare totalmente a Tolkien durante il viaggio nella Terra di Mezzo letteraria. Il filologo anglo-sudafricano non fa partire i propri passeggeri privi di comfort: anzi, proseguendo in questa tremenda metafora da tour operator, si potrebbe sostenere che con Tolkien si viaggia "all-inclusive". Mi spiego: Il Signore degli Anelli , rappresenta un'enorme singolarità nel panorama culturale novecentesco; tanto le avanguardie teorizzarono la velocità, le dimensioni sincopate e l'avversione ad una costruzione epica ed enfatica del linguaggio, tanto Tolkien restaura una dimensione più antica nella letteratura occidentale, quella del "roman", permeata d'elementi riconducibili con la tradizione medievale (da un lato) e con quella dei grandi autori ottocenteschi (Proust, Sthendal, Musil, Tolstoi).

In Tolkien è bandita la "cultura dell'interiorità", come dice Principe, così come non hanno albergo riflussi d'ermetismo e tentazioni allegoriche, metaforiche e psicanalitiche. Il Professore in più fornisce una cosmogonia: una geografia, una mitologia, storie e culture di popoli, varie lingue (da egli inventate e strutturate) e una ragione per farsi realtà. Per questo si sarebbe tentati di credere che l'approccio con Tolkien sia molto meno impegnativo che affacciarsi a narratori come Kafka o Schnitzler. Perché se quello che è scritto è, ciò non richiede il contributo interpretativo e complementare del lettore, quindi quest'ultimo può mettersi comodo, godere del viaggio e non preoccuparsi di nulla.

Eppure anche questo è vero in parte, poiché il viaggio in cui coinvolge Il Signore degli Anelli è lungo e irto di difficoltà. A parte l'intimidatoria mole dei volumi, che scoraggia i baldi lettori estivi, viene da pensare che non tutti possano godere del biglietto per la Terra di Mezzo: vuoi perché l'assorbimento richiede molto tempo (la grande risorsa scarsa della contemporaneità); vuoi perché nell'era delle playstation e della rete globale, niente ci pare da scoprire (nasciamo già svezzati) figuriamoci un mondo parallelo imbottito d'esseri insoliti. E queste già sono grandi discriminanti.

Errore lo commette anche chi in Tolkien cerca personaggi come quelli di Perrault o atmosfere da fratelli Grimm, perché qui non di fiaba si tratta, ma di realtà. Una realtà talmente tangibile che Tolkien, dopo l'avvenuta pubblicazione dell'intera trilogia, ricevette centinaia di lettere da etologi, ingegneri, musicologi, fiorai, biologi, fabbri artigiani che volevano conoscere più particolareggiatamente lo sviluppo del proprio campo d'interesse nella Terra di Mezzo.

Questo è il prezzo che paga un demiurgo umano e tangibile: dover rispondere di una creatura che ormai si muove da sola nella sfera semantica di chiunque entri in contatto. Ma è anche la testimonianza di una cosa viva e quindi reale, ancorché immaginaria.
Questo è il compromesso per accedere alla Terra di Mezzo. E sembra ben poca cosa, pensando al privilegio di poter viaggiare gravati soltanto del peso di un libro.

Le Due Torri - Il libro

Il secondo volume de Il Signore degli Anelli esce nel 1954, edito dalla George Allen & Unwin con il titolo de Le Due Torri .
Il precedente capitolo, La Compagnia dell'Anello , uscito l'anno precedente aveva dato inizio alla saga.
Il volume terminava con lo scioglimento della compagnia formata dai rappresentanti dei popoli liberi della Terra di Mezzo (Uomini, Elfi, Nani, Hobbit).
Le Due Torri inizia con un avvenimento tragico: la morte di Boromir. Il valoroso uomo di Gondor è stato soggetto alla tentazione dell'Unico Anello e in un momento di follia ha cercato di strapparlo a Frodo, lo Hobbit legittimo portatore; egli viene, poco dopo, massacrato dagli Orchi che inseguono la compagnia. Frodo decide così di partire con la sola vicinanza del fidato Sam, verso le montagne di Mordor.

Questo frammento drammatico, rompe subito l'incantesimo del lettore: se La Compagnia dell'Anello poteva essere definita come un lento e progressivo addentrarsi nell'ombra, Le Due Torri già dal capitolo iniziale fa percepire quale sarà il tratto caratterizzante.
Non c'è più tempo per l'indugio, la guerra è cominciata e la compagnia dispersa ormai rincorre fini differenti: Aragorn il Dùnedan, Legolas l'Elfo Silvano e Gimli il Nano cominciano una caccia serrata alla brigata di Orchi che ha trucidato Boromir e rapito gli altri due Hobbit Merry e Pipino; Frodo e Sam si dirigono senza speme verso le paludi morte e Gandalf è caduto nelle profondità delle miniere di Moria combattendo contro un Balrog.

La fulminante apertura del Le Due Torri mette il lettore dinnanzi ad una totale mancanza di speranza.
Se le tinte de La Compagnia dell'Anello erano, almeno nella parte iniziale, quelle di un caldo racconto bucolico o quelle eteree ed immortali delle dimore degli Elfi priminati, quelle de Le Due Torri opprimono il cuore: i ritmi si serrano come battaglioni di soldati, la violenza entra dalla porta principale ed i colori dominanti sono il grigio, che sia esso argento delle armature o bruma delle paludi, e il nero. Sempre Quirino Principe con una bella similitudine rende bene il carattere di centralità, ma allo stesso tempo di transitorietà che caratterizza il secondo capitolo de Il Signore degli Anelli: <<E' il momento in cui più acuti sono i travagli del parto, in cui la serenità del passato è ormai lontana e irrecuperabile e sembra non essere mai esistita. Il terreno di The Two Towers è un deserto di spine, così come, in una malattia il cui decorso prevedibile sia di tre giorni, il secondo è il più penoso>>.

Qui avviene il pieno sviluppo dei protagonisti: Tolkien in questa seconda parte leva tutte le maschere ai suoi personaggi: accade ciò che il semiologo Greimas nella sua teoria attanziale definisce "acquisizione di competenza" . Ogni carattere è reso manifesto nell'inizio della propria maturazione; pure non vi è quel completamento che potrà avvenire solo con il giusto finale del terzo capitolo, Il Ritorno del Re .
Espressiva in questi termini è la figura, sempre più centrale di Aragorn il ramingo: egli, pagina dopo pagina acquisisce spessore, sia dentro se stesso che agli occhi dei suoi compagni. Questa crescita è dolorosa, perché presuppone un percorso che non ha ritorno: non vi è salvezza, né infantile incoscienza che possano obliare la missione del futuro Re di Gondor. Non si può parlare d'introspezione psicologica, per i motivi di cui dicevo nell'introduzione, tuttavia il carattere dell'intrepido uomo si modifica a prescindere dagli avvenimenti che vive: non è certo la prima volta che egli scende in battaglia, ma sa che quella è la "sua" battaglia, quella col destino alla quale non seguirà appello.

In questa parte centrale de Il Signore degli Anelli è l'amicizia il valore compattante, ed essa sembra agire per sistema binario, per coppie, che come degli insiemi s'intersecano creando intense concatenazioni: Gimli e Legolas, Frodo e Sam, Eòmer e Aragorn, Aragorn e Gandalf, Gandalf, Théoden, e Aragorn ed Eòwin. Esistono anche due gruppi composti di tre elementi: il triangolo Merry - Pipino - Barbalbero, e quello composto da Frodo - Sam - Gollum. Quasi a conferma della solidità del sistema coppia, questi triangoli risultano meno stabili, in un alternarsi di situazioni favorevoli (la rivolta degli Ent, la quiete di Gollum) e sfavorevoli (la diffidenza di Barbalbero, i continui alterchi tra Sam e Gollum). All'interno de Le Due Torri non c'è più spazio per le compagnie, ma solo per i rapporti duplici, quelli stretti poiché adesso non ci si può fidare di nessuno.

Tolkien, con la noncuranza del filologo (che sarebbe bestemmia per un romanziere convenzionale), inserisce in questo libro vari personaggi nuovi: alcuni con ruoli primari sia nel capitolo corrente che in quello successivo (Faramir, Eòwin, Eòmer, Barbalbero e gli Ent), altri che entrano come alito di vento (Erkenbrand dell'Ovestfalda) ed escono poco dopo senza lasciare traccia alcuna (almeno apparente). Molte di queste parti apparirebbero inconcludenti, se non fosse che Tolkien pensava già a delle abbondanti appendici al termine del terzo libro, per riannodare i fili sospesi.

Tornando ai personaggi nuovi (tra cui va incluso anche il ritrovato Gandalf, che uscito vincente dalla lotta con il Demone ha ultimato il suo percorso d'iniziazione, ottenendo dai Valar il colore Bianco per le sue vesti), due in particolare diventano fondamentali: Gollum-Sméagol e l'Ent Barbalbero.
Questi due esseri sono diversi da tutte le altre forme conosciute sin qui: Gollum è stato il custode dell'anello per 500 anni e questi lo ha mutato in una creatura notturna e dolente; Barbalbero è un Ent, in pratica un pastore di alberi, un antichissimo essere silvano semovente. Sono queste due figure che partecipano alle situazioni più gustose e perigliose del libro: Barbalbero guida la rivolta degli Ent contro il disboscatore Saruman (lo stregone ex capo e ora rivale di Gandalf), dopo aver spronato gli ultimi rimasti della sua razza altrimenti destinati a diventare essi stessi alberi; Gollum grazie alla fiducia di Frodo riacquista una parte della sua antica natura di hobbit (sì perché prima di mutare era uno Hobbit) e combatte l'altro se stesso corrotto dall'anello in uno scontro individuale degno di un Dr.Jekill/Mr.Hide.

Sebbene vi sia all'interno de Le Due Torri una netta dicotomia tra bene e male, nessun personaggio è totalmente compreso al bene o pienamente estraneo al male. Il fatto è che una scelta s'impone, ma non è così facile decidere: Theòden Re di Rohan, anche se reso libero dalle nefaste influenze del consigliere Grìma Vermilinguo (emissario di Saruman), è lacerato dai dubbi prima di abbracciare la posizione di Gandalf ed imbarcarsi nell'eroica battaglia del Fosso di Helm.
Quindi la scelta dolorosa è quella della consapevolezza: nulla potrà ristabilire lo status quo ante , malgrado ciò è necessario scegliere la parte giusta. Questa dolenza è rappresentata in maniera perfetta dalla stirpe degli Elfi: i più antichi tra loro percepiscono che la guerra dell'Anello segnerà, in qualunque maniera essa finisca, la loro sorte. La fine della Terza Era (epoca protostorica in cui è ambientato il romanzo) segna anche il termine della loro permanenza nella Terra di Mezzo. Il tempo degli Elfi è finito ed essi sono destinati a far ritorno con le loro navi ad ovest nel reame di Valinor, per l'eternità. Ciò nonostante scelgono di schierarsi accanto agli altri popoli liberi per combattere l'ombra nera di Sauron.
La speranza quindi non è mai bandita. Gutta cavat lapidem, la goccia scava la pietra. Proprio come due piccole gocce, Frodo e Sam si avventurano nel fuoco di Mordor, con la guida ora premurosa, ora interessata di Gollum.

Il testo de Le Due Torri è diviso in due libri distinti ma diegeticamente paralleli: il primo che tratta dell'avventura di Aragorn, Legolas, Gimli e Gandalf a Rohan e di Merry e Pipino con gli Ent; il secondo libro che racconta dell'avvicinamento di Frodo e Sam a Mordor.
Proprio la seconda parte fa percepire maggiormente l'impegnativo tragitto di quest'opera centrale. Nel secondo libro non v'è l'epica della battaglia, né tanto meno la presenza di creature bonarie e sbalorditive; qui emergono solo la fatica ed il dolore, l'oppressione e la paura.
Quindi se il primo libro de Le Due Torri avvicina quelle che saranno i temi portanti de Il Ritorno del Re (l'epica, l'assedio, l'eroismo e il compimento del fato), il secondo fa storia a sé, accentuando ciò che in Tolkien sono i valori cari: come il senso dell'amicizia e il coraggio di chi coraggioso non è.

Come detto in precedenza, Tolkien non fa allegoria. Vi sono però richiami alle esperienze passate e al proprio sistema di valori: quindi il combattimento del Fosso di Helm ricorda le immense battaglie della Grande Guerra, che lo scrittore visse sulla Somme nel 1916/17. Principale è inoltre il concetto della natura e della sua conservazione: niente muoverebbe gli Ent verso una guerra, se non fosse per l'imprudenza di Saruman, che sradicando tutte le piante d'Isengard per costruire il proprio arsenale, scatena nei pastori d'alberi una violenza demolitrice che non sapevano di possedere. Tolkien attraverso questi passaggi cerca di ricordare al lettore l'importanza della comunione con la natura. Tutti gli esseri della Terra di Mezzo, fatti salvi gli Orchi, vivono in concordia con le creazioni di Yavannah (dea creatrice della natura); come ad esempio gli Elfi di Lothlòrien, che costruiscono le proprie abitazioni su giganteschi alberi chiamati Mallorn, vivendo in fusione con loro.

La separazione in due libri ben distinti, fa de Le Due Torri l'anomalia narrativa della saga. Tolkien tiene disgiunte (dal punto di vista dell'intreccio) le due vicende, per accentuare quello che è il contenuto semantico dell'opera: la sensazione che tutto sia irrimediabilmente compromesso. La vecchia compagnia dispersa dirige se stessa in modo frammentario verso i due simboli della malvagità incombente, le due torri: quella di Orthanc ad Isengard dove risiede Saruman lo stregone e quella nera di Barad-Dur dove vigila l'occhio fiammeggiante di Sauron.
Il romanzo mantiene così il senso d'inevitabilità dei grandi poemi epici e cavallereschi medievali, scorrendo penosamente nell'attesa di un armageddon che avverrà solo nel terzo capitolo. Inevitabilità, dicevo, ma anche irrimediabilità. Poiché in quest'opera non vi sono appigli. Non ci si può consegnare ad un inizio né ad una fine, non vi è passato né futuro, ma solo un ottenebrato presente che è in ogni caso necessario attraversare, per giungere infine al meritato termine dell'opera. Solo così si potrà giungere la dove i fili si riannodano e gli animi si placano, dove al lettore è concesso il piacere dell'indugio che precede la conclusione di un'epopea.

Le Due Torri - Il Film

Peter Jackson è ormai da due anni la croce e la delizia dei puristi tolkeniani di tutto il globo. Il suo lavoro sta raccogliendo più consensi che critiche, ma questo non toglie che alcune idee siano oggetto di dibattito acceso tra gli amanti dell'opera di Tolkien.
Prima però va riconosciuta la bontà delle scelte propedeutiche di Jackson e di tutta la produzione. Per la ricostruzione iconografica degli ambienti della Terra di Mezzo, il regista neozelandese si è affidato a due dei massimi illustratori viventi dell'opera tolkeniana: Alan Lee e John Howe, che hanno lavorato a stretto contatto con i libri di riferimento, creando ambienti e personaggi totalmente aderenti alle indicazioni del romanziere inglese, a tal punto che viene difficile immaginare tali elementi in altro modo.

Una lode va poi alla WETA corps ., la società che si è occupata degli effetti visivi: non solo ha creato tutti i personaggi e le scene fisicamente, ma ha oltremodo dato vita anche alle varie culture dei popoli abitanti la Terra di Mezzo. Tutto è servito per creare verosimiglianza, aderenza con la cosmogonia tolkeniana, che narra di razze millenarie come quella degli Elfi, portatrici di una cultura altrettanto antica. Ogni struttura ed ogni singola arma sono state fabbricate a mano, tornando per certi aspetti ad un sistema old style di concepire il kolossal.
Questo ha creato una dimensione di totale assorbimento, da parte del cast d'attori, che nonostante la fatica ha lavorato per 15 mesi ininterrotti, sino a terminare il girato di tutti e tre i capitoli.

Ma veniamo nello specifico a Le Due Torri.
La morte di Boromir si è già consumata nell'epilogo del capitolo precedente, quindi all'inizio del secondo film troviamo Frodo e Sam sono diretti verso Mordor mentre Aragorn, Legolas e Gimli sono all'inseguimento degli orchi. Non ci sono riassunti o raccordi col capitolo precedente. L'unica concessine è la scena d'apertura del lungometraggio, con la ferale battaglia tra Gandalf ed il Balrog, mentre precipitano nell'abisso di Moria. Questa sequenza riprende e conclude l'avvenimento principale de La Compagnia dell'Anello .
Una prima grande differenza con il libro di Tokien, viene dal fatto che i due racconti non sono più separati, bensì vengono inseriti insieme in montaggio alternato ed hanno uno sviluppo diegetico simultaneo. La stessa cosa vale per l'avventura di Merry e Pipino presso la foresta di Fangorn. Quindi sono tre filoni che conducono lo sviluppo della sceneggiatura, intrecciandosi tra loro.
Era chiaro che Jackson non potesse tenere divise le due vicende, come nella scrittura originale tolkeniana, per ovvi motivi di fruizione cinematografica. D'altra parte non è questo il film adatto a sperimentazioni in fase di editing, né pare appropriato ad ellissi temporali di tarantiniana memoria; in fondo l'impianto è quello di una storia classica ed il montaggio deve seguire la funzione epica ed esaltare il pathos che essa sprigiona.

La riduzione cinematografica procede poi con grande fedeltà (ma anche con molti tagli) sino alla cacciata di Eòmer, nipote di Re Théoden e capitano dei Rohirrim, da Rohan per volere di Vermilinguo. Questa parte non esiste nel libro, ma diventa qui fondamentale per il proseguimento del film.
Il ritorno di Gandalf e la sua apparizione davanti ad Aragorn e compagni avviene senza quell'indugio e quell'incertezza che rendevano speciale il racconto di Tolkien, ma lo stesso in modo fedele al testo di riferimento.

In questa parte di film, la sequenza che convince meno è l'approdo di Merry e Pipino a Fangorn. L'incontro con Barbalbero risulta, come direbbe lui, <<.un po' frettoloso!>> ; Inoltre manca totalmente quell'aspetto umoristico che scaturiva dalla conoscenza tra due specie ignote fra loro. Ma questa è una nota scelta di Jackson. Senza scomodare i grandi russi, la fluvialità del ciclo di Tolkien autorizzava piacevoli divagazioni descrittive, e questo permetteva la creazione di situazioni umoristiche e di personaggi stravaganti. E' uno dei sembianti che fanno la ricchezza de Il Signore degli Anelli , che nel film sono quasi totalmente assenti.

Non è una critica questa. E' evidente il dovere del regista di sostenere un punto di vista o se preferiamo di fornire uno sguardo d'insieme sul ciclo tolkeniano, favorendo l'enfasi epica e i valori morali emersi dalla scrittura. Questo va certamente a scapito di una dimensione comico-grottesca (nel primo film fu sacrificato il personaggio di Tom Bombadil), ma in fondo non siamo alla presenza di una riduzione cinematografica di una commedia o di una novella.
Tuttavia per non appesantire il film, già pieno di battaglie e di scontri drammatici, il regista accentua le qualità comiche del Nano Gimli, che fa da contrappunto al personaggio dell'eroe di stampo omerico qual è Aragorn. Gimli diventa protagonista di gag e situazioni singolari, come quando all'interno della battaglia per il fosso di Helm, ingaggia una competizione all'ultimo orchetto con Legolas.

L'enfatizzazione che caratterizza tutto il film, assume una dimensione ancor maggiore nel rapporto tra Aragorn e Arwen. La dama elfica nel libro non appare neppure, mentre qui è protagonista di uno scontro con suo padre Elrond che la convincerà ad imbarcarsi per i Rifugi oscuri destinati agli Elfi che lasciano la Terra di Mezzo. Aragorn sa della cosa, e quest'improvvisa complicazione nella loro storia d'amore non fa che accentuare una dimensione di tormento (anche nello spettatore), creando questa nuova situazione parallela.

Emergono in primo piano anche le figure di Théoden Re del Mark e di sua nipote Eowin, "la bianca dama di Rohan". Théoden, liberato dalla possessione di Saruman, da un Gandalf in versione esorcista, muta sia la sua natura morale che quella fisica, ringiovanendo improvvisamente. La scena, seppur molto aderente al testo, assume degli accenti eccessivi con il Re che si contorce sul trono come una Linda Blair dei tempi che furono. Anche la fredda Eowin accresce la sua parte in commedia, diventando subito protagonista e antagonista di Arwen nel cuore del tenebroso Aragorn.
Queste caratterizzazioni, soprattutto quella di Théoden, più che a Tolkien, fanno ripensare ad un altro grande scrittore inglese: William Shakespeare. Il Re dei Rohirrim nella scena in cui viene vestito dell'armatura è roso dai dubbi come Machbeth, e s'interroga sull'odio che ha portato all'inevitabilità di quella guerra.

Una dimensione a parte la assume il personaggio di Gollum. La creatura, ricreata digitalmente su movimenti umani, è "l'anello" di congiunzione più forte tra libro e film. Egli esprime meravigliosamente sullo schermo la sua contorta essenza, evocando negli spettatori sentimenti contrastanti, ora d'odio e paura, ora di pietà e commiserazione. Gollum è dominato da una duplice natura e proprio questa sua complessità psicologica lo rende ingiudicabile: egli è in mezzo al guado, buono e malvagio allo stesso tempo, essenza del concetto tolkeniano di corruttibilità dell'animo umano.

A differenza de La Compagnia dell'Anello , il film Le Due Torri si scosta un po' dagli accenti linguistici usati da Tolkien: l'evoluzione del ciclo de Il Signore degli Anelli , vuole il secondo volume già vicino ai toni di romanzi medievali come il Beowulf o Sir Gawain e il Cavaliere Verde, toni che si manifesteranno in pieno dentro Il Ritorno del Re . Nella pellicola invece è tutto ovviamente più colloquiale ed informale, anche se molti dialoghi sono mantenuti identici.
Jackson è bravo a sviluppare raccordi paralleli, che donano fluidità e scorrevolezza al testo filmico. Per fare questo sviluppa alcune tracce che nel libro di Tolkien erano liquidate in quindici righe. Un esempio per tutti è la sequenza in cui i Cavalieri di Rohan vengono attaccati dai mannari selvaggi di Saruman, mentre si dirigono verso la fortezza di Helm. Questa scena serve per accentuare la sensazione di impatto imminente a cui questa schermaglia fa da preludio.

Il punto centrale de Le Due Torri resta in ogni modo la battaglia per il Fosso di Helm: Aragorn e gli altri sono arroccati insieme a Théoden e ai miseri resti della gente di Rohan, mentre fuori dalle mura un esercito di diecimila orchi Uruk-hai è pronta all'attacco. E' possibile ritrovare all'interno della magniloquente scena, l'influenza di molti: l'assedio di un male esterno e tangibile sembra mutuata da Hawks e Carpenter, le riprese mobili ed audaci ricordano da vicino il Kurosawa di Kagemusha ; l'adunata dell'esercito di Saruman richiama alla memoria le immagini di Leni Riefenstal e l'inquadratura, con carrello ad indietreggiare, sulle picche alzate degli orchi rievoca in qualche modo la Battaglia di San Romano di Paolo Uccello.

La battaglia esprime tutta la potenza del film e rappresenta il momento più corale: agli assediati giunge l'inaspettato aiuto di una compagnia d'arcieri elfici inviati da Elrond (anch'egli convinto, nonostante tutto, che una speranza esista ancora). Ciononostante sulle mura del Trombatorrione combattono sia vecchi, che bambini. Il buio cala, insieme con una sensazione di morte mentre gli Uruk battono incessantemente le picche sul terreno simulando il rombo di un tuono senza fine. Mentre i tiratori sulle mura tendono gli archi, il macabro rombo prosegue, finché una freccia inavvertitamente partita ad un anziano combattente abbatte un orco. Cala un irreale silenzio, ma prelude all'inizio del tremendo attacco.
Il seguito è sorprendente: le inquadrature a spalla ed i virtuosismi con le dolly rendono al meglio la durezza dello scontro. La morte del comandante degli arcieri elfici Haldir, montata in slow motion, è intrisa d'afflizione e malinconia: non è solo un battaglione di elfi che muore, ma simboleggia tutta la loro stirpe che sta lentamente lasciando la Terra di Mezzo.
La battaglia sembra destinata alla disfatta per i Cavalieri di Rohan, quando giunge l'alba ed insieme ad essa Gandalf che era partito sulle tracce dell'esiliato Eòmer. Il bianco cavaliere e il valoroso Rohirrim attaccano, con molti uomini, il fianco dell'esercito di Uruk-hai annientandolo.
Come dicevo prima, l'invenzione dell'esilio di Eòmer serve per giustificarne il rientro sul finale, in quel ruolo di salvatore della patria, destinato nel libro all'anonima figura di Re Erkenbrand dell'Ovestfalda (qui eliminata).

Il montaggio (altro capolavoro nel capolavoro) interviene verso il termine dello scontro per il fosso di Helm, alternando le sequenze di un altro scontro che si sta consumando ad Isengard: gli Hobbit hanno convinto Barbalbero e gli Ent a muovere guerra a Saruman, dopo aver mostrato loro l'annientamento di una parte di foresta da parte dello stregone. Fuori di se dalla rabbia Fangorn (Barbalbero) incita gli altri Ent ad attaccare la torre di Orthanc con le pietre, distruggendo la diga che contiene il fiume Isen, che riversa sulla piana tutto il suo furore, spazzando ciò che incontra.
Nel mentre Frodo e Sam, sono stati catturati da Faramir (fratello di Boromir) che, una volta scoperto il prezioso carico portato dagli Hobbit, li trascina con sé ad Osgiliath (vecchia capitale di Gondor).
Faramir è molto più risoluto e brutale rispetto al personaggio del libro, non ha pietà della sorte di Frodo di cui diffida. Solo l'arrivo di un Nazgúl (un fantasma dell'anello) a dorso di un mostruoso uccello preistorico, fa comprendere al capitano di Gondor l'importanza della missione dei due giovani mezz'uomini.

Il film finisce similmente al primo con Frodo e Sam di nuovo in cammino verso Mordor. Stavolta non sono soli, ma in compagnia dell'inquieto Gollum, che sentitosi tradito dal "padrone del tesssoro" medita vendetta. La sua anima divisa in due lo lacera, egli non può uccidere Frodo, ma forse qualcuno può farlo in vece sua ed è proprio da questo qualcuno che Gollum dirige gli sventurati Hobbit.

Conclusioni

La prima cosa che salta agli occhi allo spettatore che ha letto il libro di Tolkien, è l'estrema riduzione dello spazio diegetico del racconto filmico: esso inizia ben dopo la morte di Boromir per finire molto prima del viaggio di Gandalf presso Saruman, ormai in balia della rabbia degli Ent, e del cammino di Frodo e Sam sulle scale di Cirith Ungol verso la tana di Shelob. Per darvi un'idea della contrazione vi porto dei numeri: la prima parte del libro Le Due Torri , per intenderci quello delle grandi battaglie (Fosso di Helm e Isengard) ha una lunghezza di 226 pagine, il film racconta avvenimenti svoltisi in 148 di quelle pagine. La stessa cosa accade per il secondo libro dedicato al pellegrinaggio di Frodo e Sam.
Le motivazioni sono assai comprensibili. Peter Jackson, da regista attento qual è, ha cercato di fornire pur nella struttura a trilogia della saga, una conclusione ad ognuno dei due film fin qui usciti nelle sale. Così come la morte di Boromir e la partenza solitaria di Frodo chiudevano La Compagnia dell'Anello , qui la fine vittoriosa delle grandi battaglie e la liberazione degli Hobbit da parte di Faramir, segnano la fine di un percorso: quello dell'ascesa del male, motivo dominante de Le Due Torri .
Ciò che si apre dopo è un altro racconto, quello del contrattacco dei popoli liberi della Terra di Mezzo verso l'oscuro Sauron.

A dire il vero tale ascesa non è ancora terminata. Nel romanzo gravi avvenimenti malvagi devono ancora accadere, tra cui la conoscenza dell'immonda Shelob. Tuttavia Jackson era obbligato a tenere alcune di queste scene per il terzo capitolo, che altrimenti avrebbe rischiato d'essere troppo didascalico. Necessariamente il capitolo conclusivo della saga deve essere anche quello più magniloquente, perché terminale di tutte le attese degli spettatori.
Questo non accade nel romanzo perché in un libro c'è sempre molto di più. Inoltre Tolkien non si cura della nettezza nelle conclusioni dei tre libri separati (non dimentichiamo che essi uscirono tra il '53 e il '55 in volumi distinti), e noi oggi ignoriamo questo problema avendo tutta la trilogia completa.
Oltretutto nel progetto di sviluppo di Tolkien Il Ritorno del Re è strutturato come un romanzo cavalleresco, con i suoi riti, i suoi linguaggi e soprattutto le sue strutture narrative; tant'è che la parte che segue la fine della guerra dell'anello sembrerebbe scritta nel 1170 da Chrétien de Troyes o da Wolfram Von Eschenbach. Chiaramente il film finale della trilogia non ha la possibilità di cambiare registro in questo modo.

In questo mio saggio ho cercato di informare, chi n'avesse voglia, delle differenze sostanziali che sussistono tra il linguaggio filmico e quello letterario. Molte ne posso aver indagate, ma mai quante ne ho trascurate. Puntualmente ultimato un paragrafo ricordavo di dover aggiungere qualcosa, ma non sempre l'ho fatto, perché il rischio nel descrivere una cosmogonia come quella tolkeniana, sia essa libro o film, è quello di svilirne il valore.
Ho amato moltissimo i libri, che continuo ad amare, e mai avrei pensato di vedere realizzata in maniera così fedele ed allo stesso tempo originale la storia de Il Signore degli Anelli. Molto di quello che Tolkien desiderava esprimere attraverso i suoi testi, si manifesta anche nell'opera cinematografica; questo dovrebbe placare il cuore degli inflessibili puristi, che sarebbero tenuti a comprendere che un film è un testo molto differente da un libro, e che a volte esigenze di carattere diverso impediscono una resa fedele al testo di riferimento. Valga per tutti la lunghezza: un libro di 500 pagine, troverebbe sicuramente degli acquirenti di buona volontà; se un film invece durasse 6 ore, credetemi, pochi andrebbero a vederlo.

Riguardo alle tematiche contenute nella trilogia, esse affascinano ancora perché sempre attuali: l'amore per una natura che comprendiamo sempre meno, la debolezza dell'uomo nei confronti del potere (qui rappresentato da un oggetto tangibile come l'anello), ma anche il coraggio di chi non sa di possederlo e la fratellanza oltre le differenze razziali.
Negli USA, sempre in testa in fatto di lezioni morali, il film di Jackson è stato di volta in volta accusato: di mancanza di rispetto nei confronti degli scomparsi dell'11 settembre, per via del titolo; d'essere vicino alle posizioni di George W. Bush sulla guerra poiché i cattivi (Sauron e Saruman) hanno come iniziale la S di Saddam; di esaltare le oceaniche adunate hitleriane e di spersonalizzare il nemico come facevano i nazisti. Non entrerò nel merito di queste considerazioni, che ognuno le giudichi per ciò che valgono. Dico solamente che questo tipo di polemiche non solo è infruttuoso, ma sostanzialmente stupido.
Tolkien in alcune sue lettere, diceva per iscritto di odiare sopra ogni cosa l'allegoria. Chiaro che poi ognuno è figlio del proprio tempo e riempie ogni testo di cui fruisce delle proprie esperienze e quindi ci vede quello che vuole. Tuttavia è sbagliato mettere gli occhiali della politica sopra ad ogni cosa, sia da destra che da sinistra.

Ciò che rimane da dire è che nel complesso Le Due Torri appare un film potente ed epico, e tortuoso sicuramente più del primo lungometraggio; tuttavia essendo parte di mezzo lascia un senso d'incompletezza, non fosse altro che per alcuni comprensibili tagli effettuati per la versione uscita nelle sale. Forse nell'autunno prossimo anche questo piccolo fastidio sarà alleviato, dalla versione Director's cut in DVD, o forse staremo già attendendo un nuovo ritorno: quello del Re, naturalmente.

 

Nicola Boccalini, 31 gennaio 2003

fonte Cinemavvenire (www.cinemavvenire.it)

 

           
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