Orlando, Boromir e l'ofermod
di Beatrice "Arandilme" Colucci

lfred de Vigny scriveva questi versi alcuni anni prima che venisse portato alle stampe il manoscritto originale e completo della Chanson de Roland. Prima di questa riscoperta, databile al 1835, la figura di Orlando e la risonanza epica delle sue gesta erano sopravvissute al tempo attraverso la rielaborazione di secoli di tradizioni popolari e rifacimenti colti (si pensi ai nostri Ariosto e Tasso). Ma, pur essendo la Chanson preda della critica e di controversie filologico-interpretative e così via, resta invariato ai nostri giorni il sentire commosso verso Orlando e la sua storia anche per chi, per nulla abituato all'antico francese, si è immerso già nell'infanzia o nell'adolescenza nella terra di Roncisvalle.
E', in effetti, quasi naturale che le vicende di Orlando e dei Paladini di Francia colpiscano soprattutto quella parte giovane di ognuno che tanto fa fatica a sopravvivere alle monotonie della quotidianità.
La morte di Orlando ha impressionato generazioni di lettori più o meno giovani per la sua emozionalità evocativa di impotenza e coraggio, ma altre generazioni hanno provato un'eguale commozione alla morte di Boromir, per la sua scomparsa improvvisa e cocente dalle strade percorse dalla Compagnia nella Terra di Mezzo.
Riprendendo in mano la Chanson e continuando a tenervi (come da anni!) il Signore degli Anelli, si può tentare l'avventura assai meno eroica di inoltrarci nella sorte avversa di Orlando e in quella di Boromir, azzardando qualche riflessione.
Entrambi questi guerrieri entrano in scena durante una consulta cruciale per il successivo svolgersi degli eventi narrati.
Nel Consiglio dei Franchi, al cui ordine del giorno c'è la proposta di pace dopo lunghe guerre recata dall'ambasciatore di Marsilio, il re pagano, a Carlo Magno, Orlando propende subito per una risposta d'azione armata, osando contraddire l'opinione dello stesso suo sovrano:

Metez le sege a tute vostre vie,
Si vengez cels que li fels fist ocire!2
(vv. 213-214)

Nello stesso modo, e cioè contraddicendo l'autorità di Elrond, Boromir rivela se stesso come uomo d'azione, maldisposto verso l'unica soluzione valida di distruggere l'Anello e propenso, piuttosto, all'utilizzo di questo nella lotta d'armi.
Non comprende, anzi, la necessità di doverlo distruggere, sembrandogli quasi una follia:

“Why do you speak ever of hiding and destroying?… The Men of Gondor are valiant, and they will never submit… Valour needs first strength, and then a weapon. Let the Ring be your weapon!”3

Due uomini valorosi, quindi, consci della propria forza e capacità in battaglia, ma allo stesso tempo si può dire indeboliti proprio da questo senso eccessivo di appartenenza ad un codice di comportamento e all'onore derivante dalla stirpe essendo Orlando nipote di Carlo e Boromir erede al titolo di Sovrintendente di Gondor.
Questa debolezza è da ricondurre a quell' ofermod che il Tolkien studioso individuava in Beorhtnoth e, in parte, in Beowulf. L' ofermod, quindi, o, alla francese, la desmesure, sono la dimostrazione di una non libera e quindi deficitaria responsabilità nello svolgersi delle scelte e perciò del destino di entrambi gli eroi.
Orlando, infatti, quando a Roncisvalle, dopo il tradimento di Gano, si troverà a capo di una retroguardia di soli ventimila uomini contro un esercito sterminato, rifiuta la responsabile scelta, suggerita dalla saggezza di Oliviero, di suonare l'olifante, corno nobile e, supponiamo, cimelio di Casata, per richiamare in aiuto le forze più consistenti di Carlo.
Orlando rifiuta di chiamare Carlo a causa del suo forte senso dell'onore e agli inviti di Oliviero:

risponde Orlando: “Sarebbe agire da folle!
Nella Dolce Francia perderei il mio nome.
(vv. 1053-1054)
….“Al Signore non piaccia
che i miei congiunti sian per me biasimati,
e disonore ne abbia la Dolce Francia !”
(vv. 1062-1064)
“Che mai si dica che per un mortale,
per un pagano, il corno abbia suonato!
I miei congiunti mai ne avranno biasimo!”
(vv. 1074-1076)

E Orlando ancora insiste quando Oliviero sottolinea la disparità di forze in campo:

“E cresce la mia brama [di combattere].
Non piaccia a Dio, ai suoi angeli, ai suoi santi
Che a causa mia la Francia perda il suo onore!
Meglio sceglier il morire che perdurare nell'infamia!”
(vv. 1088-1091)

Orlando, come Beorhtnoth, sceglie liberamente, ma anche irresponsabilmente, l'azione valorosa, nonostante possa indovinare la strage cui tutto il suo manipolo di valorosi andrà incontro. La sua non si può definire responsabilità libera, poiché la sua scelta è viziata dall'importanza che per lui assume l'onore per il proprio nome, anche a costo della perdita della vita non solo sua ma dei suoi ventimila uomini.
Il commento di Turoldo è simile a quello dell'autore della battaglia di Maldon:

Orlando è prode, Oliviero è saggio
Entrambi han valore portentoso.
(vv. 1095-1094)

Quindi entrambi dimostrano le doti dell'ideale guerresco del tempo, ma Turoldo pone l'accento comunque sulla necessità del discernimento del capo: Oliviero è, in un certo senso, superiore ad Orlando perché sa riconoscere la situazione per quella che è veramente. E questo lo spinge a non credere ciecamente nel codice d'onore della morte in battaglia tout court, ma a considerare la scelta di chiamare aiuto posta su un gradino più alto di questo stesso codice. Prima di essere valoroso, sceglie di essere saggio. Ma il capo è Orlando e sua sarà la responsabilità della disfatta. Suonerà il corno non più per chiedere a Carlo l'aiuto, ma per impetrare vendetta.
Oliviero si interroga sulla conseguenza della scelta di Orlando, ma quest'ultimo sembra non volerne sapere, si reputa in fondo padrone del futuro (Turambar), mentre in realtà è cieco di fronte ad esso e ne è travolto (Turun ambartanen).
Orlando esprime “la limpida affermazione del principio della resistenza a oltranza al servizio di un'indomabile volontà.”4 Ma ciò che diventa scopo dell'agire non è più la difesa dei deboli, in questo caso i Francesi della retroguardia in seria inferiorità numerica, ma il metallo meno nobile che sminuisce l'oro del valore, cioè il lofgeornost5, l'essere desiderosissimo di gloria.
Così, come per Beorhtnoth, per Orlando “l'onore costituiva, di per sé, un movente da perseguire a costo di mettere il suo heordhwerod, vale a dire gli uomini che gli erano più cari, in una situazione genuinamente eroica, di cui potevano dimostrarsi degni solo morendo.”6 E' una scelta “troppo incosciente per essere eroica.”7“Il capo al quale incombeva la responsabilità di tutti gli uomini al suo comando… non avrebbe dovuto metterne a repentaglio le vite, se non per un unico scopo, la difesa del regno minacciato da un nemico implacabile.”8
E, come Beorhtnoth, Orlando non può “riscattare completamente la propria follia con la morte.”9
Perciò si spezza il suo corno, come se il suo onore di stirpe fosse venuto meno a causa dell'irresponsabilità, ma non si spezza la sua Durendal, ricevuta dal cielo e da Carlo per essere al servizio dei deboli, della Douce France minacciata di morte. Durendal non si spezza al volere di Orlando, non gli obbedisce perché ha ancora il compito, quasi negatole per l' ofermod dal suo portatore, di servire ai deboli. Il riscatto della follia di Orlando verrà, infatti, da Carlo stesso, dalla sua saggezza e dalla sua forza. E Durendal tornerà a Carlo.
Pur essendo perdonato dei suoi peccati, quindi, Orlando deve affidarsi alla saggezza del Re perché in qualche modo venga riscattata la sua follia. E Carlo lo farà.
Cosa può esserci di simile nell'indole di Boromir rispetto a quella di Orlando? In che modo si può parlare di ofermod per l'Uomo di Gondor?
L'Anello, come è sua natura, agisce in maniera subdola su di lui, opera su quella parte della sua anima di valoroso che era interessata all'onore, alla gloria della sua casata, più che agli interessi del suo popolo di fronte all'enormità funesta della minaccia di Sauron.
Faramir conosce l'indole del fratello e ne è la controparte saggia come Oliviero fu per Orlando. Faramir discerne ciò che è successo al fratello di fronte alla tentazione dell'Anello e si spiega il suo agire straniato con il ricordo di ciò che pensava Boromir stesso sul fatto che, dopo tanti secoli, i Sovrintendenti di Gondor non potevano ancora dirsi Re. Di fronte all'affermazione di Frodo che Boromir aveva riconosciuto il diritto di sovranità di Aragorn, Faramir risponde:

“Non ne dubito… Ma non avevano ancora raggiunto Minas Tirith o provato rivalità nelle guerre per essa.”10

Faramir parla anche dell' ofermod del fratello:

“Un uomo di valore, e per questo considerato fra i migliori a Gondor. E molto valoroso era, in effetti…”

ma di cui non condivide il desiderio di gesta eroiche fini a se stesse. Faramir combatte da prode ma con saggezza, perché non perde di vista il motivo della lotta: la salvezza del suo popolo. E questa consapevolezza lo aiuta a sfuggire alla tentazione dell'Anello. E' “saggio abbastanza da sapere che ci sono dei pericoli che un uomo deve rifuggire.”11
Gandalf stesso aveva percepito il punto debole dell'orgoglio in Boromir:

“Fu una tremenda prova per un tale uomo: un guerriero, e un signore per gli uomini.” 12

Boromir, invece, la cui vista era appannata dal senso dell'onore personale, non riesce a scorgere il pericolo sotteso all'uso dell'Anello. E lo dice:

“Gandalf, Elrond…spesso mi chiedo se siano saggi o non piuttosto timorosi…L'Anello mi darebbe il potere del Comando. Come scaccerei via i nemici di Mordor, e come tutti gli uomini si raccoglierebbero sotto il mio stendardo!”
Boromir camminava su e giù, parlando sempre più forte. Sembrava quasi aver dimenticato Frodo, mentre le sue parole si dispiegavano nell'esaltare muraglie ed armi, e il radunarsi degli uomini; e faceva piani di grandi alleanze e gloriose vittorie future; e abbatteva Mordor, e diveniva egli stesso un potente re, benevolo e saggio.
13

In questo passo appare chiaro il momento di follia che l'Anello suscita in Boromir, accecato nella prudenza dall'orgoglio di appartenenza ad una nobile stirpe. Il senso dell'onore del proprio lignaggio appare smisurato tanto da portarlo alla caduta, al tentativo di costringere un misero se non miserabile Hobbit a cedergli l'Anello. Ed utilizza anche l'arma sottile della parola per convincerlo delle proprie ragioni.
L'ofermod lo rende vittima dell'Anello al punto da cercare di aggredire un essere più debole ed indifeso di lui, uomo forte e vigoroso. E questo non rientrerebbe nel codice comportamentale del valore cavalleresco, della difesa dei deboli.
Solo la provvidenziale caduta fisica lo “fulmina” nella sua caduta morale ma Frodo è ormai scomparso e Boromir, risvegliatosi, piange sui suoi atti.
Ora la battaglia interiore si è conclusa, e positivamente, ma resta ancora la lotta reale: gli Orchi stanno attaccando.
Ora le speculazioni vaneggianti sul futuro di gloria lasciano il passo alla realizzazione concreta della vera nobiltà del guerriero: la resistenza ad oltranza contro un nemico in superiorità numerica e che non si può aggirare. Un nemico che ha circondato la Compagnia come un branco di lupi assetati di prede e contro il quale non si può ottenere nessun aiuto perché non vi è chi possa darne.
Ora l'esercizio dell'indomabile volontà si attua non più per la ricerca della gloria personale nei campi aperti di Gondor, ma nell'azione eroica solitaria e tutto sommato disperata di chi difende i deboli a costo della propria vita. E questo a vantaggio degli hobbit che prima aveva disprezzato.
Boromir avrebbe potuto fuggire, poiché la resistenza a oltranza era votata quasi certamente alla morte, ma non lo fa perché la sua caduta e il suo rialzarsi non hanno fatto altro che esaltare la responsabilità libera del valoroso uomo di Gondor.
Perciò la missione di guerriero in Boromir trova il suo compimento finale: contrariamente a quanto succede ad Orlando, l'uomo di Gondor, il Capitano della Torre Bianca, riscatta la sua follia con la morte.
La sua vita si spezza nel donarsi per gli altri, umilmente, senza aspettarsi che qualcuno, tranne i due piccoli hobbit, assista alla vicenda e ne intoni canti nei tempi a venire. Suona il corno per chiedere aiuto, e il vibrare del suo richiamo si udrà fino ai confini di Gondor, come prodigiosamente l'olifante era risuonato per trenta leghe fino all'udito di Carlo.
Il corno, tramandato ad ogni primogenito della sua casata, si spezza con lui: è terminata l'epoca dei sovrintendenti, si apre una nuova epoca dei Re.
Denethor terrà i frammenti del corno sulle ginocchia, ma non riuscirà a capire il presagio nascosto in essi.
Si spezza anche la spada, che come il suo padrone ha compiuto con pienezza il proprio compito: è perita in difesa dei deboli.
Aragorn raccoglie la morte di Boromir non come Carlo, cui si chiedeva riscatto per la follia del nipote, ma come un presagio.

“Ho cercato di prendere l'Anello a Frodo… Chiedo perdono. Ho pagato… Addio, Aragorn! Va' a Minas Tirith e salva il mio popolo! Io ho fallito!”
“No!” disse Aragorn, prendendogli la mano e baciandogli la fronte. “Tu hai vinto. Pochi hanno mai ottenuto una vittoria simile. Rasserenati! Minas Tirith non cadrà!”
14

Aragorn assume chiaramente su di sé la promessa di combattere per il popolo di Gondor, che per un momento Boromir aveva messo in secondo piano rispetto al sogno di diventare re. Ma ora il Capitano della Torre Bianca può sorridere, il Re di diritto non abbandonerà il suo popolo. Il Re è tornato e saranno la sua spada, Anduril fiamma dell'Ovest, la sua saggezza e il suo coraggio a prendere in consegna la stessa missione.
Boromir ha infine liberamente e responsabilmente scelto di perire nell'ombra e la sua morte appare ancora più nobile per questo.
Faramir lo legge sul viso del fratello, scorto nello scintillare notturno della barca elfica, sua ultima dimora:

“Che abbia errato o no, di questo sono certo: è morto bene, compiendo qualche nobile gesto. Il suo volto era ancor più bello che da vivo.” 15

Rauros roared on unchanging. The River had taken Boromir son of Denethor, and he was not seen again in Minas Tirith, standing as he used to stand upon the White Tower in the morning. But in Gondor in after-days it long was said that the elven-boat rode the falls and the foaming pool, and bore him down through Osgiliath, and past the many mouths of Anduin, out into the Great Sea at night under the stars.16

Note

1 Alfred de Vigny, Poèmes antiques et modernes, 1825: ” …E la cascata unisce, in un'immensa caduta, il suo eterno pianto al canto della romanza. Anime dei cavalieri, siete voi che ancora tornate? Siete voi che parlate nella voce del corno?” (T.d.A.)

2 Tutti i brani della Chanson de Roland sono tradotti da me seguendo l'edizione dell'originale antico francese edito in: La Canzone di Orlando, a cura di Mario Bensi, Rizzoli Bur, 1985. “ Ponete l'assedio anche per tutta la vostra vita, / ma vendicate gli uomini che [Marsilio] vi uccise.” (T.d.A.)

3 J.R.R. Tolkien, The Lord of the Rings, Harper & Collins, I, II. “Perché parlate sempre di nascondere e distruggere?… Gli uomini di Gondor non si sottometteranno mai… Il valore ha bisogno in primo luogo di forza, e poi di un'arma. Che l'Anello sia la vostra arma!” (T.d.A.)

4 J.R.R. Tolkien, Albero e Foglia, Bompiani 2000, pag. 220.

5Cfr. Op. cit., pag. 224.

6 Op. Cit., pag. 223.

7 Op. Cit., pag. 223.

8 Op. Cit., pag. 222.

9 Op. Cit., pag. 223.

10 J.R.R. Tolkien, The Lord of the Rings, Harper & Collins, IV, V.

11 op. cit., IV, V.

12 op. cit., III, V.

13 op. cit., II, X.

14 op. cit., III, I.

15 op. cit., IV, V.

16 op. cit., III, I. “Rauros ruggiva immutata. Il Fiume aveva preso Boromir figlio di Denethor, ed egli non più fu visto a Minas Tirith, in piedi come soleva fare sulla Torre Bianca nel mattino. Ma a Gondor, nei giorni che vennero, a lungo si disse che la barca elfica passò le cascate e la spumeggiante acqua al di sotto, e lo portò attraverso Osgiliath, e oltre le tante bocche dell'Anduin, fino al Grande mare, nella notte, sotto le stelle.”

La traduzione in italiano è sempre mia… perdonatemi la presunzione!

           
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