uel che risulta evidente dai capitoli precedenti, è che Tolkien 
              non sarebbe mai stato soddisfatto dallo scrivere normale letteratura 
              seguendo il filone dominante. Voleva risvegliare le antiche tradizioni 
              attraverso un canale differente, coinvolgendo i miti ed affrontando 
              le critiche per esser andato contro le comuni leggi non scritte 
              della scrittura. Infatti, "Tolkien non era partito per scrivere 
              ´letteratura´, [...] ma poteva, con crescente certezza, esser 
              partito per scrivere mitologia." (Moseley, 52; mio corsivo). 
              
              
              La creazione della mitologia 
              Questo includeva il fatto di spostare l'attenzione lontano dai personaggi, 
              poiché nei miti cosmici gli esseri umani devono stare un passo indietro, 
              lasciando la scena agli aspetti universali. E' come disse W.H. Auden 
              di Tolkien: che Shakespeare creava personaggi e trame narrative, 
              là dove Tolkien creava mondi e miti (comp. Murray, A. : Das Tolkien 
              Quizbuch, 67. Klett-Cotta, o.J.,o.O.) 
              C'erano tre ragioni principali che muovevano Tolkien a fare ciò: 
              i suoi interessi filologici che lo indirizzavano verso il mito, 
              il desiderio di esprimere la propria poesia in un canale appropriato 
              e, non per ultima, l'intenzione di dare all'Inghilterra, "il paese 
              più demitologizzato d'Europa" (Shippey, 268), una mitologia 
              che non aveva mai avuto nei secoli precedenti, risultato questo 
              dell'invasione normanna del 1066 e della Rivoluzione Industriale. 
              
              Un aspetto de Il Signore degli Anelli è che oggigiorno può 
              essere semplicemente denominato Fantasy, la finzione narrativa 
              di persone, luoghi e circostanze inesistenti nel mondo normale. 
              Gran parte della sua cosmologia si basa sul folklore e le fiabe 
              dei tempi più antichi, oltre che su quella che è la forma più alta 
              della tradizione popolare: saghe, ballate e canti epici. Alcune 
              di tali fonti che ispirarono Tolkien furono indubitabilmente il 
              poema Pearl and Sir Orfeo, sommamente Beowulf, l'Islandese 
              Antica Edda, ed anche il Nibelungenlied (sebbene non 
              nella versione di Wagner). In essi, come nelle antiche ballate popolari, 
              veniva riflessa la credenza della gente in creature come draghi, 
              elfi e nani e poiché Tolkien era un maestro in tale campo, "le incongruenze 
              di tali tradizioni non potevano che dare a Tolkien una grande voglia 
              di creare una Zusammenhang" (Shippey, 211). 
              
              Risonanze Mitologiche 
              Egli seppe combinare insieme aspetti delle varie creature e fenomeni 
              per creare gli abitanti e le condizioni della Terra-di-Mezzo, a 
              volte sviluppando qualcosa "da un frammento", da una singola parola 
              o idea - come far menzione degli orchi nel Beowulf, un Bosco 
              Atro nel Lokasenna e nel Hlodhskvidha dell'Edda 
              Poetica, oppure l'idea di una foresta che prende vita ed attacca 
              nel MacBeth di Shakespeare; che Tolkien portò a reale movimento, 
              letteralmente parlando, quasi non apprezzasse l'idea che la foresta 
              del dramma non caricasse realmente. Gli elfi sono una mescolanza 
              di fonti differenti, togliendo magari qualcosa da una, ad esempio 
              l' idea del ´changeling´[5], 
              ed aggiungendo una porzione dall'altra, come le caratteristiche 
              degli abitanti Celtici dell'altro mondo, i Tuatha Dé Danaan. 
              Similmente i nani, ispirati quasi completamente dall'Edda, 
              sebbene trasmettano la loro peculiarità di mutarsi in pietra al 
              sole, che ivi è loro tratto centrale, ai Vagabondi, e a loro volta 
              prendano l'aspetto Rumpelstiltskiniano di non dire ad alcuno i loro 
              veri nomi, il che può trovarsi nelle fiabe dei Grimm. (comp. 
              Shippey, 106). 
              Anche gli esseri umani vengono creati ispirandosi alle leggende: 
              essi però mostrano anche - e dopotutto sono uomini - tratti comuni, 
              ritrovabili nella realtà e nella storia. I Rohirrim, ad esempio, 
              che Tolkien afferma assomigliassero agli antichi inglesi soltanto 
              nel linguaggio e nelle circostanze in cui erano stati introdotti, 
              sono effettivamente molto simili agli Anglosassoni delle leggende 
              e poesie (comp. Shippey, 112). Un loro aspetto caratteristico 
              è l'innata ferocia, tale da far dichiarare a Shippey "Si comportano 
              come pellirosse in cotta di maglia" (Shippey, 115). Una spiegazione 
              di questo, come lo stesso Shippey indica, può risiedere nella maniera 
              in cui una terra plasma i propri abitanti: i reali Anglosassoni, 
              infatti, come quelli della leggenda, erano tipicamente germanici 
              nel non essere un popolo di cavalieri (Cesare già menziona la loro 
              abitudine di smontare dai loro cavalli in battaglia nel suo De 
              Bello Gallico). D'altro canto, Gondor può essere correlata all'Antica 
              Roma - più potente, più civilizzata e sviluppata, ma anche dai costumi 
              più decadenti. 
              Anche il ruolo mitologico di Gandalf risulta composto da aspetti 
              differenti, anche se, ovviamente, preso da altri punti di vista: 
              la sua resurrezione nello splendore sulla collina nella foresta 
              di Fangorn ricorda tanto quella di Gesù[6], 
              quanto quella di Balder, dio germanico della Giustizia, Pietà e 
              Luce, la cui morte segna l'inizio della fine del mondo e la cui 
              rinascita coincide con l'inizio d'una nuova era. Similmente ambivalente 
              è il sacrificio di Gandalf a Moria: come Gesù, che morì per la sua 
              gente, ma anche come Odino, che s'impiccò sulla cima dell'albero 
              del mondo, Yggidrasi[7], 
              ottenendo in cambio la conoscenza delle rune e che sacrificò un 
              occhio per avere il dono della visione profetica, così come Gandalf, 
              tornato dalla morte con rigenerato potere. L'oggetto centrale del 
              romanzo, l'Anello, può trovare il proprio riferimento in Draupnir, 
              l'Anello del Potere di Odino; sebbene ciò verrebbe ad includere 
              un contributivo personaggio allegorico a Il Signore degli Anelli; 
              ed anche se ci sono, sicuramente, molti altri anelli magici nei 
              miti e nei racconti. 
              La Terra di Mezzo stessa ha una mitologia, per giunta, la quale 
              principalmente appare nei vari canti; tali come la Caduta di Gil-Galad, 
              un personaggio prometeico simile ad un elfico Icaro, oppure la Storia 
              di Beren e Luthien[8]. 
              
              Un'altra mescolanza tra culture reali e loro miti si può ritrovare 
              nel campo spesso trascurato del simbolismo numerico. Molte figure, 
              articoli importanti o piccoli dettagli, sono composte da uno dei 
              due più comuni numeri "sacri": il 7, nella tradizione biblica Giudaico-Cristiana 
              ed il 3 ed i suoi prodotti, cifra importante nella tradizione Norrena 
              ed in quella cristiana. Come Tolkien spiegò, gli elfi preferivano 
              contare in sestine e dozzine, che altro non sono che 2x3 e 4 X 3 
              (comp. SdA, 1080). Nel romanzo, sono frequenti numeri simbolici, 
              così come ci si dovrebbe aspettare in un racconto mitologico: vi 
              sono tre anelli elfici, nove (tre volte tre) anelli dei mortali, 
              e, per riflesso, nove Spettri dell'Anello; nove membri della Compagnia 
              dell'Anello in partenza da Gran Burrone; 27 (nove volte tre, ovvero 
              tre volte tre volte tre) gradini per salire alla torre di Orthanc; 
              e Denethor è il ventisettesimo reggente di Gondor. Per quanto riguarda 
              il numero sette, ci sono sette anelli dei nani, sette Palantíri, 
              le antiche pietre della visione; sette stelle di Elendil, che si 
              possono ritrovare anche nello stendardo di Aragorn; e sette le mura 
              e le torri di Minas Tirith. Una combinazione di tre e sette è il 
              numero di orchi ucciso da Gimli nella battaglia del Fosso di Helm: 
              42, due per tre per sette o sei volte sette. Ci sono sicuramente 
              molti esempi di questo tipo, ma nessun numero o insieme di essi 
              può effettivamente essere associato ad una specifica cultura della 
              Terra-di-Mezzo. 
              
              Il romanzo come un mito 
              Spero di aver già chiarito il fatto che esistono alcuni topoi 
              ricorrenti sugli aspetti mitologici in mezzo a percezioni differenti, 
              così come tra il punto di vista cattolico di Tolkien e quelli degli 
              altri; che ci sono "elementi narrativi nel Vangelo che hanno analogie 
              con altri miti ed altre culture" (Moseley, 27) cosa di cui 
              Tolkien si era reso conto e che viene ammesso attraverso la sua 
              convinzione per cui "il mito e le strutture narrative [...] sono 
              fondamentalmente vere, radicate in una più profonda Verità" 
              (Moseley,27). 
              Tolkien affermò che "L'importanza di un mito non può esser facilmente 
              messa per iscritto tramite ragionamenti analitici" (Moseley, 
              25). E' certo infatti che la mitologia de Il Signore degli Anelli 
              non può mai esser afferrata per intero, poiché e' piuttosto lontana 
              da noi e perché, semplicemente, noi non vivremo mai nella Terra 
              di Mezzo. Ciò che il romanzo contiene sul mito e la mitologia, non 
              è che "l'incertezza e le visioni di un mondo alieno che va oltre 
              la comprensione" (Shippey, 100; mio corsivo). Quello 
              che si crede di comprendere è legato a ciò che sembra essere più 
              familiare: molti lettori vedono similitudini con i miti che conoscono 
              (comp. Shippey, 102). E' anche la percezione del lettore 
              a decidere il livello e lo stile del mito, o se qualcosa possiede 
              un significato mitologico e quale esso sia. Per alcune scene ed 
              ambientazioni, sono possibili differenti livelli di interpretazione, 
              a partire dal mito, dietro cui si immagina un significato più profondo; 
              profonda mimesi, quando vi sia una flebile aria d'un più alto, ancorché 
              irraggiungibile concetto; e ironia, se le cose dall'antefatto incerto 
              vengono prese cum grano salis, con un pizzico di intelligenza 
              (comp. Shippey, 198). 
In quale maniera, dunque, Il Signore degli Anelli è un mito, posto che ha di certo una sua mitologia? Se si prende la definizione di Northrop Frye per cui "l'eroe è un essere divino e la sua storia sarà un mito" (Shippey, 190), allora si può giustificare il rango mitico del romanzo prendendo in considerazione l'aspetto divino di Gandalf, come Maia, una specie di divinità minore; gli elfi, che sono immortali e Frodo, che possiede tratti modellati su quelli di Gesù Cristo: pietà e compassione. Un altro criterio dato da Shippey è Il Signore degli Anelli visto come "una storia comprendente i più profondi sentimenti di una particolare società in un certo periodo" (Shippey, 184); e, per definire il romanzo in una sola espressione, dovrebbe essere "un mito contro lo scoraggiamento" o "un mito di Deconversione" (Shippey, 184).
             
            
              [5] Qui sta per la vicenda del fanciullo 
              scambiato con un altro di stirpe Umana, laddove nella tradizione 
              nordica lo scambio sarebbe operato da spiriti maligni ai danni di 
              fanciulli nati da poco. 
              
            
            [6] L'autore qui usa il termine 'resurrezione' 
            in modo improprio: quella di Cristo agli Apostoli può dirsi a buon 
            diritto 'apparizione', ma il ritorno alla vita vero e proprio avvenne 
            nel sepolcro, senza testimoni. 
            
            [7] Il frassino su cui poggiano tutti i mondi 
            nella tradizione nordica. 
            
            [8] Il passaggio non è intuitivo: in primo 
            luogo certi accostamenti alla figura di Gil-Galad possono sembrare 
            un tantino azzardati, e inoltre i personaggi citati hanno una preponderante 
            valenza storica, piuttosto che solo leggendaria, nel corso delle vicende 
            di Arda.
            
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