J. R. R. Tolkien: "Il Signore degli Anelli" - Mitologia, Filosofia, Allegoria
"Facharbeit" - Saggio di Manuel Steiner, scritto nel ´00 p.r.i.

uel che risulta evidente dai capitoli precedenti, è che Tolkien non sarebbe mai stato soddisfatto dallo scrivere normale letteratura seguendo il filone dominante. Voleva risvegliare le antiche tradizioni attraverso un canale differente, coinvolgendo i miti ed affrontando le critiche per esser andato contro le comuni leggi non scritte della scrittura. Infatti, "Tolkien non era partito per scrivere ´letteratura´, [...] ma poteva, con crescente certezza, esser partito per scrivere mitologia." (Moseley, 52; mio corsivo).

La creazione della mitologia
Questo includeva il fatto di spostare l'attenzione lontano dai personaggi, poiché nei miti cosmici gli esseri umani devono stare un passo indietro, lasciando la scena agli aspetti universali. E' come disse W.H. Auden di Tolkien: che Shakespeare creava personaggi e trame narrative, là dove Tolkien creava mondi e miti (comp. Murray, A. : Das Tolkien Quizbuch, 67. Klett-Cotta, o.J.,o.O.)
C'erano tre ragioni principali che muovevano Tolkien a fare ciò: i suoi interessi filologici che lo indirizzavano verso il mito, il desiderio di esprimere la propria poesia in un canale appropriato e, non per ultima, l'intenzione di dare all'Inghilterra, "il paese più demitologizzato d'Europa" (Shippey, 268), una mitologia che non aveva mai avuto nei secoli precedenti, risultato questo dell'invasione normanna del 1066 e della Rivoluzione Industriale.
Un aspetto de Il Signore degli Anelli è che oggigiorno può essere semplicemente denominato Fantasy, la finzione narrativa di persone, luoghi e circostanze inesistenti nel mondo normale. Gran parte della sua cosmologia si basa sul folklore e le fiabe dei tempi più antichi, oltre che su quella che è la forma più alta della tradizione popolare: saghe, ballate e canti epici. Alcune di tali fonti che ispirarono Tolkien furono indubitabilmente il poema Pearl and Sir Orfeo, sommamente Beowulf, l'Islandese Antica Edda, ed anche il Nibelungenlied (sebbene non nella versione di Wagner). In essi, come nelle antiche ballate popolari, veniva riflessa la credenza della gente in creature come draghi, elfi e nani e poiché Tolkien era un maestro in tale campo, "le incongruenze di tali tradizioni non potevano che dare a Tolkien una grande voglia di creare una Zusammenhang" (Shippey, 211).

Risonanze Mitologiche
Egli seppe combinare insieme aspetti delle varie creature e fenomeni per creare gli abitanti e le condizioni della Terra-di-Mezzo, a volte sviluppando qualcosa "da un frammento", da una singola parola o idea - come far menzione degli orchi nel Beowulf, un Bosco Atro nel Lokasenna e nel Hlodhskvidha dell'Edda Poetica, oppure l'idea di una foresta che prende vita ed attacca nel MacBeth di Shakespeare; che Tolkien portò a reale movimento, letteralmente parlando, quasi non apprezzasse l'idea che la foresta del dramma non caricasse realmente. Gli elfi sono una mescolanza di fonti differenti, togliendo magari qualcosa da una, ad esempio l' idea del ´changeling´[5], ed aggiungendo una porzione dall'altra, come le caratteristiche degli abitanti Celtici dell'altro mondo, i Tuatha Dé Danaan. Similmente i nani, ispirati quasi completamente dall'Edda, sebbene trasmettano la loro peculiarità di mutarsi in pietra al sole, che ivi è loro tratto centrale, ai Vagabondi, e a loro volta prendano l'aspetto Rumpelstiltskiniano di non dire ad alcuno i loro veri nomi, il che può trovarsi nelle fiabe dei Grimm. (comp. Shippey, 106).
Anche gli esseri umani vengono creati ispirandosi alle leggende: essi però mostrano anche - e dopotutto sono uomini - tratti comuni, ritrovabili nella realtà e nella storia. I Rohirrim, ad esempio, che Tolkien afferma assomigliassero agli antichi inglesi soltanto nel linguaggio e nelle circostanze in cui erano stati introdotti, sono effettivamente molto simili agli Anglosassoni delle leggende e poesie (comp. Shippey, 112). Un loro aspetto caratteristico è l'innata ferocia, tale da far dichiarare a Shippey "Si comportano come pellirosse in cotta di maglia" (Shippey, 115). Una spiegazione di questo, come lo stesso Shippey indica, può risiedere nella maniera in cui una terra plasma i propri abitanti: i reali Anglosassoni, infatti, come quelli della leggenda, erano tipicamente germanici nel non essere un popolo di cavalieri (Cesare già menziona la loro abitudine di smontare dai loro cavalli in battaglia nel suo De Bello Gallico). D'altro canto, Gondor può essere correlata all'Antica Roma - più potente, più civilizzata e sviluppata, ma anche dai costumi più decadenti.
Anche il ruolo mitologico di Gandalf risulta composto da aspetti differenti, anche se, ovviamente, preso da altri punti di vista: la sua resurrezione nello splendore sulla collina nella foresta di Fangorn ricorda tanto quella di Gesù[6], quanto quella di Balder, dio germanico della Giustizia, Pietà e Luce, la cui morte segna l'inizio della fine del mondo e la cui rinascita coincide con l'inizio d'una nuova era. Similmente ambivalente è il sacrificio di Gandalf a Moria: come Gesù, che morì per la sua gente, ma anche come Odino, che s'impiccò sulla cima dell'albero del mondo, Yggidrasi[7], ottenendo in cambio la conoscenza delle rune e che sacrificò un occhio per avere il dono della visione profetica, così come Gandalf, tornato dalla morte con rigenerato potere. L'oggetto centrale del romanzo, l'Anello, può trovare il proprio riferimento in Draupnir, l'Anello del Potere di Odino; sebbene ciò verrebbe ad includere un contributivo personaggio allegorico a Il Signore degli Anelli; ed anche se ci sono, sicuramente, molti altri anelli magici nei miti e nei racconti.
La Terra di Mezzo stessa ha una mitologia, per giunta, la quale principalmente appare nei vari canti; tali come la Caduta di Gil-Galad, un personaggio prometeico simile ad un elfico Icaro, oppure la Storia di Beren e Luthien[8].
Un'altra mescolanza tra culture reali e loro miti si può ritrovare nel campo spesso trascurato del simbolismo numerico. Molte figure, articoli importanti o piccoli dettagli, sono composte da uno dei due più comuni numeri "sacri": il 7, nella tradizione biblica Giudaico-Cristiana ed il 3 ed i suoi prodotti, cifra importante nella tradizione Norrena ed in quella cristiana. Come Tolkien spiegò, gli elfi preferivano contare in sestine e dozzine, che altro non sono che 2x3 e 4 X 3 (comp. SdA, 1080). Nel romanzo, sono frequenti numeri simbolici, così come ci si dovrebbe aspettare in un racconto mitologico: vi sono tre anelli elfici, nove (tre volte tre) anelli dei mortali, e, per riflesso, nove Spettri dell'Anello; nove membri della Compagnia dell'Anello in partenza da Gran Burrone; 27 (nove volte tre, ovvero tre volte tre volte tre) gradini per salire alla torre di Orthanc; e Denethor è il ventisettesimo reggente di Gondor. Per quanto riguarda il numero sette, ci sono sette anelli dei nani, sette Palantíri, le antiche pietre della visione; sette stelle di Elendil, che si possono ritrovare anche nello stendardo di Aragorn; e sette le mura e le torri di Minas Tirith. Una combinazione di tre e sette è il numero di orchi ucciso da Gimli nella battaglia del Fosso di Helm: 42, due per tre per sette o sei volte sette. Ci sono sicuramente molti esempi di questo tipo, ma nessun numero o insieme di essi può effettivamente essere associato ad una specifica cultura della Terra-di-Mezzo.

Il romanzo come un mito
Spero di aver già chiarito il fatto che esistono alcuni topoi ricorrenti sugli aspetti mitologici in mezzo a percezioni differenti, così come tra il punto di vista cattolico di Tolkien e quelli degli altri; che ci sono "elementi narrativi nel Vangelo che hanno analogie con altri miti ed altre culture" (Moseley, 27) cosa di cui Tolkien si era reso conto e che viene ammesso attraverso la sua convinzione per cui "il mito e le strutture narrative [...] sono fondamentalmente vere, radicate in una più profonda Verità" (Moseley,27).
Tolkien affermò che "L'importanza di un mito non può esser facilmente messa per iscritto tramite ragionamenti analitici" (Moseley, 25). E' certo infatti che la mitologia de Il Signore degli Anelli non può mai esser afferrata per intero, poiché e' piuttosto lontana da noi e perché, semplicemente, noi non vivremo mai nella Terra di Mezzo. Ciò che il romanzo contiene sul mito e la mitologia, non è che "l'incertezza e le visioni di un mondo alieno che va oltre la comprensione" (Shippey, 100; mio corsivo). Quello che si crede di comprendere è legato a ciò che sembra essere più familiare: molti lettori vedono similitudini con i miti che conoscono (comp. Shippey, 102). E' anche la percezione del lettore a decidere il livello e lo stile del mito, o se qualcosa possiede un significato mitologico e quale esso sia. Per alcune scene ed ambientazioni, sono possibili differenti livelli di interpretazione, a partire dal mito, dietro cui si immagina un significato più profondo; profonda mimesi, quando vi sia una flebile aria d'un più alto, ancorché irraggiungibile concetto; e ironia, se le cose dall'antefatto incerto vengono prese cum grano salis, con un pizzico di intelligenza (comp. Shippey, 198).
In quale maniera, dunque, Il Signore degli Anelli è un mito, posto che ha di certo una sua mitologia? Se si prende la definizione di Northrop Frye per cui "l'eroe è un essere divino e la sua storia sarà un mito" (Shippey, 190), allora si può giustificare il rango mitico del romanzo prendendo in considerazione l'aspetto divino di Gandalf, come Maia, una specie di divinità minore; gli elfi, che sono immortali e Frodo, che possiede tratti modellati su quelli di Gesù Cristo: pietà e compassione. Un altro criterio dato da Shippey è Il Signore degli Anelli visto come "una storia comprendente i più profondi sentimenti di una particolare società in un certo periodo" (Shippey, 184); e, per definire il romanzo in una sola espressione, dovrebbe essere "un mito contro lo scoraggiamento" o "un mito di Deconversione" (Shippey, 184).


[5] Qui sta per la vicenda del fanciullo scambiato con un altro di stirpe Umana, laddove nella tradizione nordica lo scambio sarebbe operato da spiriti maligni ai danni di fanciulli nati da poco.

[6] L'autore qui usa il termine 'resurrezione' in modo improprio: quella di Cristo agli Apostoli può dirsi a buon diritto 'apparizione', ma il ritorno alla vita vero e proprio avvenne nel sepolcro, senza testimoni.

[7] Il frassino su cui poggiano tutti i mondi nella tradizione nordica.

[8] Il passaggio non è intuitivo: in primo luogo certi accostamenti alla figura di Gil-Galad possono sembrare un tantino azzardati, e inoltre i personaggi citati hanno una preponderante valenza storica, piuttosto che solo leggendaria, nel corso delle vicende di Arda.

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